Chiesa di San Nicola

La chiesa Madre di Episcopia, e la stessa parrocchia che qui ha sede, è intitolata a San Nicola di Bari.
Edificata nel XVI sec. all’interno del borgo Piediterra, sotto il castello che domina la valle, divenne subito un punto di riferimento per la comunità cristiana del paese e venne, pertanto, abbellita ed ampliata nel corso dei secoli seguenti.
La datazione della costruzione può ricavarsi sulla base della prima incisione qui presente e che riporta la scritta “12 aprile 1555”.
Si tratta dell’epigrafe posta su di un quadro, nella navata centrale entrando a destra.
All’interno della chiesa si possono ammirare delle bellissime opere della produzione artistica del settecento episcopiota: è del 1774 la tela eseguita dal pittore R. D’A. Vitale raffigurante “La Madonna della Misericordia”, circondata da angeli con ai lati due monaci, di cui uno eremita; e di epoca coeva è anche l’opera “Madonna col Bambino” con, appunto, il Bambinello sul braccio destro, corona sul capo, angeli a contorno e Santa Lucia da un lato e dall’altro un Santo non identificato.
La tela dell’Annunciazione risale al XVI sec. così come l’altare ligneo dedicato alla Madonna Nera.
Il Marchese Niccolò Della Porta (per approfondimenti su questa nobile famiglia clicca qui) aveva sposato nel 1671 Donna Antonia Vittoria Caracciolo dei baroni di Pannarano.
Quando egli morì, il 20 agosto 1695, non avendo figli, subentrò nel possesso del feudo e del titolo marchionale il fratello Mario Della Porta mentre Niccolò venne tumulato in Episcopia nella chiesa parrocchiale di San Nicola.
La moglie, Donna Antonia Caracciolo, commissionò per questo motivo l’installazione nella navata destra della chiesa Madre dell’altare dedicato alla Madonna Nera: dalla presenza dello stemma dei Caracciolo sulle colonnine doriche che lo compongono e dall’assenza dello stemma dei Della Porta è desumibile che quest’opera venne commissionata quando Antonia era già rimasta vedova.
Il tutto è sormontato da un timpano, decorato di color oro, con una colomba da cui si dipartivano tre raggi (e di cui ne restano solo due) con un’icona bizantina alla quale è dedicato l’altare.
Ai lati di questo altare troviamo le sepolture di due importanti esponenti della famiglia De Salvo (per approfondimenti su questa famiglia clicca qui), Giuseppe e del di lui figlio Pietro, casato gentilizio che acquistò la gran parte delle terre e dei palazzi del paese di proprietà dei Marchesi Della Porta.
Di Pietro De Salvo sappiamo che fu giureconsulto e avvocato fiscale nel regio tribunale di Cosenza, divenne poi governatore della Lucania e del Salernitano e poi fu Presidente del Tribunale Penale.
Sul luogo della sua sepoltura, nella Chiesa Madre, venne apposta una lapide che fu oggetto di un atto vandalico nel 1869 “per mano di un invidioso” si legge nella testimonianza lasciata dal genero Francesco Barracco che dovette provvedere alla riparazione dello scempio: si notano, infatti, delle abrasioni con uno strumento a punta ai lati dei due riquadri fatti scolpire in bassorilievo dal Barracco per cancellare il danno subìto.
Il fasto e gli ornamenti della chiesa Madre presero a rinnovarsi nella seconda metà del sec. XIX grazie alla mirabile opera dell’Arciprete Lo Fiego: nel 1855 vennero completati i lavori di costruzione della cappella laterale sinistra dedicata alla Madonna del Piano e denominata “Cappellone” stante le notevoli dimensioni.
Questo lavoro venne realizzato dalle maestranze le cui iniziali sono riportate nella piccola lapide sotto la finestra di destra che recita: “Deiparae Virgini de Plano – vi verbi – cleri populique viribus – hoc opus exactum dicatum – A.D. MDCCCLV – C.D.N.D.F.A.C. – ope ac vigilanti operam moderante” che vuol dire “tempio dedicato alla Vergine del Piano – con la forza della parola – gli uomini del popolo e del clero – dedicano questa opera perfetta – anno del Signore 1855 – C.D.N.D.F.A.C. – moderante il lavoro e la direzione sull’opera».
L’opera venne arricchita da un affresco sulla volta raffigurante al centro la nostra Madonna col Bambino e sullo sfondo la campagna di Santa Maria ed il Monastero, il tutto contornato dalla rappresentazione del tetramorfo negli angoli.
Nel cappellone corre una zoccolatura dipinta di azzurro (che ha un effetto marmorizzato) in onore al colore di Maria e sulla sinistra vi è una finestra a trompe l’oeil per rispetto alla simmetria che si crea con la finestra vera sulla destra.
Qui è custodita la statua lignea della veneratissima Madonna del Piano, datata sulla base dei tratti artistici del manufatto intorno al XV-XVI sec (per un approfondimento sulla storia della statua e della relativa festa clicca qui).
L’altare del cappellone venne realizzato nel 1890, alla sua base è incisa la data ed il nome del committente Giuseppe Attademo; questo presenta pregevoli stucchi dalle forme floreali e puttini alati ed è completato da due nicchie laterali dove attualmente trovano collocazione i reliquiari mentre, attorno all’arco che immette nella navata di sinistra della chiesa, si trovano due nicchie per lato che contengono il busto di Gesù con la corona di spine, la statuina di San Pietro ed una Madonna Nera con Bambino, una di queste nicchie rimane vuota.
Le reliquie esposte appartengono a: San Secondo Martire, Sant’Exuperantis Martire, San Pacifico Martire e San Macario Abate (il Santo che visse ed operò ad Episcopia nella seconda metà del IX sec., per approfondimenti clicca qui), le altre tre reliquie non è stato possibile identificarle perché il nastrino all’interno dell’urna è assente o illeggibile.
Ciascuna scatola metallica delle reliquie reca sul retro due coppie di fili rossi che ne garantiscono la chiusura; sul nodo è apposto un sigillo vescovile di ceralacca rossa raffigurante un leone coronato rampante a sinistra verso uno scudo coronato, attribuibile a Giulio Capece Scondito, Vescovo di Anglona-Tursi negli anni 1737-1762.
Il Cappellone è stato usato negli anni per ricavarvi la grotta della Natività durante la rappresentazione del presepe vivente che trovava collocazione lungo tutta la navata sinistra e, attualmente, è utilizzato come sepolcreto nella veglia pasquale.
Degli altri affreschi che all’epoca adornavano la volta della chiesa non restano che le geometrie prospettiche al di sopra dell’altare principale mentre non si può più osservare la figura, ricordata dai più anziani del paese, di San Nicola posto su una nube sorretta dagli angeli che campeggiava sulla navata centrale poiché, per via di una operazione di tinteggiatura degli interni, venne cancellata per dare spazio al semplice bianco.
Della devozione a San Nicola rimane, invece, la statua marmorea posta nella teca al centro dell’abside, al di sotto venne realizzato il bellissimo altare maggiore in marmo policromo datato 1905 su cui troneggia un imponente crocifisso ligneo del XVI sec.
Prima di concludere la trattazione sulla Chiesa Madre corre l’obbligo di segnalare la presenza sull’acquasantiera del medaglione bronzeo della Croce delle Indulgenze concessa nel 1901 da Papa Leone XIII: è costituita da un medaglione con una croce latina in rilievo posta al centro, una corona circolare esterna ed un’altra corona circolare all’interno, divisa in quattro sezioni dai bracci della croce.
Sulla croce, lungo i quattro bracci, è scritto “Iesus Christus Deus Homo”; sulla corona circolare più interna si legge “Vivit Regnat Imperat MCMI” e nel cerchio esterno “Osculantibus crucem hanc in ecclesia positam et recitantibus Pater indulgentia 200 dierum semel in diem”. L’intera scritta risulta quindi essere “Gesù Cristo Dio e uomo vive, regna, impera – 1901. A coloro che baceranno questa croce posta in chiesa e reciteranno il Padre Nostro verranno concessi 200 giorni di indulgenza una volta al giorno”.
La particolarità sta nel fatto che l’efficacia della Croce soggiaceva alla condizione che essa venisse murata in chiesa e inaugurata in una delle seguenti solennità: il 20 febbraio 1903, anniversario della elezione a Pontefice di Leone XIII, il 3 marzo 1903, 25° anniversario della sua incoronazione, o il 28 aprile 1903, giorno in cui il Papa avrebbe superato la durata del Pontificato romano di S. Pietro.
Negli anni ‘60 del secolo scorso la Chiesa Madre subì un notevole rimaneggiamento per dare seguito ai dettami del Concilio Vaticano II: cambiò la disposizione dell’altare maggiore, in quanto si passò dalla concezione del sacerdote guida del gregge dei fedeli verso Dio, che celebrava la messa di spalle al popolo, alla concelebrazione con i credenti, e gli altari laterali, perdendo di significato, vennero smantellati lasciando solo i quadri.
Tra i due altari laterali di sinistra c’era una porta che conduceva nell’attuale canonica, fino ad allora usata come sacrestia, siccome venne murata si sentì la necessità di ricavare una sacrestia all’interno della chiesa stessa e questo si realizzò chiudendo l’arcata di fondo della navata sinistra proprio di fianco all’altare maggiore.
Tale operazione, però, chiuse alla vista il magnifico altare di fattura settecentesca, realizzato sullo stile del barocco siciliano, che oltre ai pregevoli stucchi vede la presenza delle statue di gesso della Madonna e di San Giovanni ai lati di una croce verniciata di nero su cui sono inseriti i simboli della crocifissione (la lancia, la mano, la tenaglia, la croce di spine, il martello, il chiodo e la scala).
Ritornato visibile dopo i lavori di restauro del 2011, questo altare attualmente ospita anche un grande tabernacolo in marmo policromo lavorato ed alla sua destra si può ammirare la commovente lapide in memoria di Amalia Grezzia Virgallito, una giovane donna morta di puerperio il 7 novembre 1847.
La tela posta a sinistra della navata centrale, raffigurante la confessione di San Giovanni Paolo II con San Pio da Pietralcina, è un’opera moderna dell’artista locale Franca Iannuzzi.
Fonte: “Episcopia, Storia e Storie” di Alberto Maria Viceconte – 2019 © Tutti i diritti riservati al Comune di Episcopia.
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